Quale futuro per i carri armati nella guerra di domani?
Dalle mattonelle reattive del tipo Era che ricoprono gran parte dei corazzati ucraini, alle telecamere distribuite sugli scafi dei carri Merkava, dal sistema cage o “a gabbia” che compare su ogni fronte, ai sistemi per la guerra elettronica anti-drone della tipologia jammer che iniziamo a notare sempre più spesso sui carri armati russi inviati sul fronte ucraino: il Main Battle Tank, che un tempo concentrava le sue modifiche su corazzatura e potenza del cannone da portare in battaglia, sta cambiando come le armi che lo insidiano. Va dunque ripensato all’interno della guerra moderna e delle operazioni terrestri in corso.
Corazze e cannoni
Secondo l’analisi proposta da Weapons and Security, la sicurezza per gli equipaggi dovrebbe essere la priorità numero uno. In effetti, se si pensa allo sforzo e l’investimento di risorse che le grandi potenze stanno affrontando da anni per non rischiare la vita dei piloti di caccia, bombardieri, ricognitori e aerei spia etc , sviluppando un’intera gamma di velivoli a pilotaggio remoto, attualmente la situazione per le forze corazzate o di cavalleria meccanizzata è ben diversa.
Rivangando nei suoi ricordi Stephen Bryen – che ha una certa esperienza nel campo della difesa – racconta le sue impressioni nel visitare un arsenale israeliano dove stavano sviluppando il primo carro armato della futura e longeva famiglia Merkava, l’Mk I. Allora Israele era reduce dalla Guerra dello Yom Kippur, durante la quale aveva l’Idf aveva registrato pesanti perdite nei carri armati che si erano rivelati estremamente vulnerabili ai missili anticarro di fabbricazione sovietica, compresi gli Rpg-7.
Erano i primi anni ’70 e il Merkava israeliano, ancora protetto dal segreto militare, si apprestava a diventare uno dei tank più potenti e temuti sul campo di battaglia insieme all’Abrams M1 statunitense, sviluppato a partire al 1975 ed entrato in servizio nel 1981; al Challenger 1 britannico, entrato in servizio nel 1983; ai T-72 e T-80 sovietici, entrati in servizio nel 1973 e nel 1976, per affiancare e sostituire gradualmente i loro predecessori che intanto comparivano in tutte le potenze vicine al blocco sovietico, i T-64.
Quello che Bryen descrive come l’approccio israeliano per migliorare i tank e proteggere il loro equipaggio – l’equipaggio di un carro armato consiste di media in 4 o 5 elementi – e “affrontare la minaccia in evoluzione” era quello di “facilitare l’uscita dell’equipaggio dal carro” invece di realizzare armature composite e implementate, fossero esse basate su lastre di metallo con maggiore inclinazione più o meno spesse e combinate con armature reattive. L’intuizione si fondava infatti sul dato certo che armi anticarro sempre più letali avrebbero comunque raggiunto distrutto ogni tank.
Una triste realtà che stiamo osservando proprio ora, attraverso gli occhi elettronici dei droniusati in Ucraina. Ciò portò a un mutamento radicale della progettazione interna dei carri israeliani, che mise il motore nella parte anteriore del carro, sviluppando una via d’uscita sul retro del tank: utile anche nell’evenienza di dover “recuperare” personale in campo aperto e sotto al fuoco nemico.
Combattere dentro un tank oggi
Ogni carro armato ha avuto e avrà delle vulnerabilità, e questa è una ferma consapevolezza per chi occupa il suo abitacolo: sia esso il comandante, il cannoniere, il pilota o il mitragliere. In Ucraina è stato dimostrato fin dall’inizio del conflitto come l’armatura composita non possa essere considerata sufficiente di fronte a nuove munizioni altamente perforanti, e come d’altra parte le armature reattive nel tipo Era-Kontakt rappresentino un ulteriore e gravoso peso sui tank forniti dagli occidentali come i Leopard e i Challenger che già fanno fatica a muoversi sul fango con il loro peso.
Se nel passato le unità corazzate si scontravano con altre unità corazzate, e dovevano temere i campi minati, l’artiglieria e i caccia carri, non incontrando ogni giorno aerei sulla loro strada, oggi i tank devono fare i conti con missili anti-carro guidati come il Javelin, e i droni che possono colpirli silenziosamente in velocità: ragione per cui sono comparse le “gabbie” sulle torrette per far esplodere in anticipo le “testate a carica in tandem” prima che possano penetrare il carro. Una tecnica comparsa anche sui tank inviati nella striscia di Gaza, dove si rende ancora più evidente la difficoltà di queste distruttive macchine da guerra a transitare in teatri di combattimento urbani.
Un costante problema di vulnerabilità
Recentemente tre tank Abrams M1 sono stato distrutti sul campo di battaglia ucraino, uno colpito da un drone Fpv Piranha, un altro probabilmente colpito e distrutto da un missile anticarro guidato russo, e un terzo distrutto da una combinazione di rpg e attacco di un drone, dopo essere stato immobilizzato da una mina.
Gli Abrams americani, considerati come i “carri armati più potenti” in forza alla Nato, sono stati a lungo bramati e molto apprezzati dall’esercito di Kiev, benché esso non abbia ricevuto ovviamente le versioni più aggiornate. La corazzatura in tungsteno e reattiva, la potenza del loro cannone da 120 millimetri, le avanzate ottiche di tiro notturne presenti sulla serie M1A1 hanno dato un dimostrato le loro capacità nello scontro con gli avversari russi, ma hanno confermato allo stesso tempo la loro vulnerabilità alle nuove “tattiche” impiegate per mettere fuori combattimento un tank.
Una combinazione di gabbie di protezione aggiuntive e contromisure anti-drone avrebbero aumentato le loro capacità di sopravvivenza. E ciò vale anche per i Leopard 2 di fabbricazione tedesca e i Challenger 2 di fabbricazione britannica. Confermando l’intuizione del generale israeliano, che dopo aver studiato le tattiche della guerra corazzata da pionieri come Guderian e Rommel, e avendo sperimentato la guerra corazzata in prima persona, aveva concluso che un carro armato, per quanto ben corazzato e potente, rimarrà sempre vulnerabile. Rimane in ultimo un mistero: dove sono i T-14 Armata del Cremlino?
Un’arma segreta mai rivelata
Il carro armato russo T-14 Armata, da tempo annunciato come il tank più potente mai realizzati dalla Russia, eppure mai schierato in prima linee e grande assente del conflitto ucraino – secondo le informazioni diffuse – la tecnica di un “bozzolo corazzato” che protegge il compartimento dell’equipaggio, oltre a corazzature composite e la possibile aggiunta di protezioni reattive. Ciò dovrebbe essere sufficiente a proteggere l’equipaggio, che però non uscirebbe agevolmente dal tank di grandi dimensioni, che, al pari dell’Abrams e dei suoi omologhi europei, potrebbe anche incontrare una serie di “avversità” complementari su campi di battaglia analoghi a quello ucraino: una su tutte è il terreno fangoso che non si sposa bene con i carri armati più potenti e pesanti. Una dimostrazione pratica che vale dai tempi dei Panzer Tiger I schierati dai tedeschi sul fronte orientale.
In conclusione, sebbene l’armatura nei suoi nuovi compositi e reattivi resta “essenziale” per la guerra, i nuovi sistemi d’arma sofisticati, al pari di quelli improvvisati impiegati in combinazione con tattiche innovative, suggeriscono la necessità di riflessioni e modificheper proteggere il mezzo e il suo equipaggio qualificato. Almeno in attesa dell’arrivo del Ugv, o droni terrestri, che sono comparsi in Ucraina.
Ricordando al Pentagono come possa essere giunta l’ora per sviluppare una nuovo concetto di Main Battle tank – dato che l’Abrams non è indistruttibile e il suo progetto basi risale a oltre 50 anni fa – adeguato alla complessità della guerra moderna. La quale pare esigere tank versatili, non essenzialmente pesanti, e, dati i fatti, facili da schierare in prima linea in breve tempo. Meglio se impostati proprio sulle vecchie intuizioni del generale Israel Tal: ossia rivolti alla protezione dei carristi.
Davide Bartoccini