Operazione Babilonia: un ripasso sulla distruzione del programma nucleare iracheno
Nel 1981 i cacciabombardieri di Israele colpirono il reattore nucleare Osiraq. La storia si ripete?
Pianificata con l’obiettivo di distruggere il reattore nucleare iracheno di Osiraq, l’Operazione Babilonia, forse tra le più audaci missioni aeree del dopoguerra, venne lanciata sotto gli occhi dello stesso Iran che domani o tra una settimana potrebbe vedere i suoi siti nucleari finire nel mirino dei cacciabombardieri israeliani di ultima generazione. Gli stessi che potrebbero essere entrati in azione la notte tra il 18 e 19 aprile per “saggiare” le difese aeree nemiche e rispondere in qualche modo all’aggressione missilistica subita lo scorso 14 aprile.
I piloti che vi presero parte non hanno mai dimenticato come e quanto l’Iran avesse inavvertitamente giocato una parte fondamentale nel raggiungimento del successo del raidche distrusse il sito nucleare di Saddam Hussein; e ancora oggi le intenzioni dello Stato Ebraico – almeno sulla carta – sembrano essere rimaste le stesse: eliminare sul nascere le capacità nucleare di ogni potenza avversaria che potrebbe cambiare gli equilibri del Medio Oriente e rappresentare una minaccia per Gerusalemme.
La strana questione degli aerei
Al tempo, l’operazione ordinata dalla Knesset appena tre settimane prima delle nuove elezioni, fu condotta grazie all’acquisizione dei caccia F-16. Ottenuti da Israele per inattesa ironia del destino. Venendo considerata un vero e proprio atto di coraggio da parte dei piloti che non potevano contare su rifornimenti in volo e sistemi Gps che li guidassero sull’obiettivo nel cuore di uno stato avversario. Allora un solo errore di calcolo nella rotta, nella fase di attacco o di rientro, sarebbe stato fatale. Ma secondo gli israeliani: “I veri eroi dell’operazione non sono stati i piloti, ma coloro che presero quella decisione, una decisione molto difficile”. Contestualizzando quel momento, non molto diverso dall’attuale, il comandante della missione disse che”l’intero Medio Oriente era ostile” non minimizzando “il danno diplomatico” che poteva essere enorme. Ora la storia rischia di ripetersi con un livello di rischio analogo se non addirittura superiore a quello corso in passato?
Da Babilonia a Ocrchard, Israele non si è mai fermato
L’attacco al reattore nucleare del tipo Osiride, frutto di un accordo con la Francia che Saddam Hussein aveva annunciato come “il primo passo concreto verso la produzione dell’arma atomica araba“, fu reso essenzialmente possibile da un colpo di fortuna raccolto da Israele: l’acquisizione dei moderni caccia di produzione statunitense F-16 Fighting Falcon che Washington avrebbe dovuto fornire all’Iran, se solo la rivoluzione islamica guidata dall’Ayatollah Khomeini non avesse rovesciato, nel 1979, la reggenza dello Scià dell’Iran Mohammad Reza Pahlavi, fedele alleato degli Stati Uniti. La salita al potere dell’ayatollah portò gli americani ad annullare l’accordo che prevedeva la fornitura di 75 aerei da combattimento F-16 che vennero presi al volo dallo Stato ebraico, guidato dal premier Menachem Begin. “Il fatto che i jet siano arrivati da noi a causa della rivoluzione iraniana è una delle più grandi ironie della storia” commentò anni dopo il pilota che aveva guidato il raid quel 7 giugno 1981.
Non era affatto chiaro se i caccia, una volta decollati dalla base di Etzion, sarebbero stati in grado di raggiungere un settore all’estremo oriente dell’Iraq, quasi al confine con l’Iran, dopo aver volato attraverso l’Arabia Saudita, per poi tornare sani e salvi. Le capacità di carburante degli otto F-16 e dei sei F-15 di scorta non garantivano al 100% la copertura di 1.600 chilometri di viaggio in volo radente (sotto i 45 metri di altitudine) con una corsa finale a massima velocità sull’obiettivo e ritorno. Il tutto da svolgere nello spazio aereo nemico. Eppure la missione raggiunse il suo obiettivo senza registrare perdite.
La distruzione del sito di Osirak e del sogno nucleare di Saddam Hussein venne condannata duramente dalla comunità internazionale e dall’Onu. In particolare modo dalla Francia, furiosa per aver perso il suo investimento nella costruzione della centrale nucleare irachena. La decisione di “agire” divenne nota come la dottrina Begin – ancora oggi osservata – fondata sulla massima risolutezza nei confronti di ogni “leader arabo” che desiderando la “distruzione di Israele”.
La dottrina Begin riguardo alla soppressione di ogni minaccia rappresentata da un programma nucleare, fosse allo stato embrionale o avanzato, promosso da uno nemico di Israele è stata impiegata nuovamente con l’Operazione Orchard. Obiettivo: la distruzione di un reattore nucleare in Siria. La notte del 6 settembre 2007 una formazione di dieci cacciabombardieri israeliani formata da versioni aggiornate di F-16 e F-15, questa volta scortati e supportati da velivoli spia per il comando, il controllo e il disturbo dei segnali elettronici, decollò per distruggere il sito nucleare di Al Kibar, dove il Mossad sospettava fosse stato avviato un programma per l’ottenimento di un’arma nucleare con il supporto della Corea del Nord. Al tempo entrò in azione l’Unità 8200, reparto speciale della servizio d’intelligence israeliano che entrerebbe in azione anche ora, secondo le opzione sul tavolo del Gabinetto di Guerra israeliano, riunitosi negli scorsi giorni per decidere come rispondere all’attacco con droni e missili lanciato dall’Iran.
Gli obiettivi iraniani secondo la dottrina Begin
Oggi un’operazione che mettesse nel mirino i siti nucleari iraniani dove secondo Israele è già arricchita una quantità di uranio sufficiente a produrre dalle 3 alle 5 bombe atomiche rudimentali, punterebbe tutto su un attacco chirurgico che coinvolgerebbe una formazioni mista di caccia stealth di ultima generazione F-35 Adir scortati dalle ultimo aggiornamento del longevo quanto letale caccia F-15 Ra’mas. Ovviamente con l’appoggio di piattaforme per la guerra elettronica e conseguente disturbo di ogni segnale elettronico nemico.
I siti nucleari del programma nucleare iraniano, posti a oltre 2.000 km dal territorio israeliano (previa accoglienza di basi aeree alleate o conniventi, ndr) potrebbero essere Bushehr, dove sono due reattori, l’impianto di conversione di Rudan o Natanz, dove sono gli impianti per l’arricchimento dell’uranio e per la ricerca sulle tecnologie nucleari che rappresenta il nerbo del programma nucleare dell’Iran, a lungo monitorato delle intelligence internazionali e oggetto di interesse dell’Agenzia internazionale dell’Energia atomica (Aiea). Secondo i falchi di guerra israeliani l’aggressione missilistica lanciata dall’Iran – sebbene fallimentare – è stata “senza precedenti” e ha richiesto una reazione immediata che non ha riguardato alcun sito collegato al programma nucleare iraniano – sebbene la base aerea di Isfahan sia nelle vicinanze di un importante centro di ricerca e sviluppo.
L’idea che la finestra di tempo per fermare il programma nucleare iraniano che sta per ottenere la bomba atomica – ragione per cui il governo israeliano dovrebbe “approfittare” per distruggere l’ennesima minaccia nucleare che potrebbe mettere in pericolo l’esistenza di Israele secondo la vecchia dottrina Begin non è stato ascoltata, almeno nella prima risposta di Israele all’attacco del 14 aprile.
I rischi di un raid sul nucleare
Accantonando per un attimo la reazione della comunica internazionale e dell’opinione pubblica, due enormi dubbi dovrebbero essere sottolineati e sollevati nell’ipotesi di questo scenario: il prima è che il rischio di impiegare velivoli di ultima generazione come l’F-35, unico asset furtivo capace di ingannare i radar avversari grazie alle sue capacità stealth, rappresenta un “rischio” nel caso gli iraniani riuscissero ad abbatterne uno senza distruggerlo nella sua interezza, poiché potrebbero “catturarne” segreti e tecnologie. La seconda, strettamente connessa alla prima, è che la rete di difesa antiaerea dell’Iran, che può contare su sistemi d’arma di fabbricazione russa come l’S-300, rappresenterebbe un avversario valido quanto temibile per tutti gli altri caccia israeliani inviati in profondità nello spazio aereo nemico.
In ultimo avviso, che vengano impiegate bombe a caduta libera Mk.84 come nel caso di Osiraq, bombe guidate Gbu-27 come nel caso di Al Kibar, o nuovi missili da crocieraaviolanciabili della massima precisione, il bombardamento di un sito che abbia immagazzinato al suo interno un grande quantitativo di combustibile atomico rappresenta comunque una preoccupazione che va al di fuori dei concetti più volte espressi su azione-reazione e riguardo le proiezioni di escalation, dal momento che isotopi e materiali radioattivi estremamente nocivi per non dire “letali” potrebbero essere rilasciati nell’atmosfera nell’immediato e in quantità maggiori a quelle fuoriusciti nella nota catastrofe di Chernobyl del 1986. Questo nonostante gli obiettivi in questione possano trovarsi in settori desertici e “isolati” rappresenta una grave minaccia.
Davide Bartoccini per InsideOver